La festa delle zucche vuote, ovvero: “Nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”

A proposito della polemica tutta social network e talk show per borghesia semicolta sulla contesa se Halloween sia una festa europea o meno, in cui sostenitori e detrattori dimostrano di non conoscere la materia su cui si scannano, tra i quali spiccano da una parte i talebani “tradizzzziunali veramente” e dall’altra i sostenitori del pensiero unico laico, materialista, ci sarebbero parecchie considerazioni da fare. Per quel che concerne divagazioni in materia antropologico-culturale, che esula dalle nostre competenze, rimandiamo a un interessante libro divulgativo scritto a quattro mani dallo scrittore horror Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi intitolato Halloween(link).
Non osiamo appropriarci di materie su cui si sono espressi soggetti più competenti di noi, ma da meridionali possiamo almeno portare la nostra testimonianza mandando in avanscoperta questo scritto del compianto Camilleri (uè sta sottolineatura indica un link! Cliccateci sopra!) per sottolineare la differenza tra l’Halloween statunitense e le ricorrenza dei morti e dei santi che abbiamo conosciuto nella nostra infanzia (no, l’articolo di Camilleri non fa questo confronto, costituisce solo uno spunto). L’unico appunto che va fatto all’articolo è che non si è dileguata ovunque l’usanza di cui si parla. Nella nostra memoria infantile la calza dei morti è un ricordo vivido, e così in quella di molti amici. Forse lo scritto voleva dare un tono drammatico a fini letterari.
Inutile perdersi in una rassegna delle differenti modalità in cui la festa celtica di Samhain si configura qua e là. Dove le zucche, dove i morti, dove entrambi, dove le questue (il famoso dolcetto o scherzetto). Lasciamo volentieri le catalogazioni agli accademici e ai pontificatori da bar. Ci limitiamo a parlare della festa che abbiamo conosciuto nella nostra infanzia.
Per un bambino, l’idea incantevole che i propri cari possano un giorno all’anno venire nel mondo dei vivi portandogli dei regali in forma di dolciumi o giocattoli è, prima che un’occasione di regalo, un’occasione per arricchire le proprie categorie di pensiero e cominciare a considerare se stesso come anello di una catena che percorre le generazioni e i secoli. E familiarizzare pian piano con la consapevolezza che un giorno toccherà anche a lui morire. È un memento mori soft. Con il bonus di inserire il tutto in un mondo di calore ed affetto (qualcosa di simile lo si è visto nello sdoganamento della festa messicana dei morti nel bel film Pixar Coco).

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Un pensiero a un tempo rassicurante e capace di suscitare presenza e attenzione, che inserisce il bambino in un’ottica di continuità e partecipazione del flusso vitale, oltre a mettere il genitore nelle condizioni di “maneggiare” il proprio lutto dovendo dire al bimbo che i suoi nonni sono venuti a portargli dolci o regali . Come tutte le festività e i riti che il mondo secolarizzato ed infantilizzante sta piallando in nome di un edonismo narcisistico il cui punto d’arrivo è l’autismo, è un’occasione di crescita per tutti.

Se nella celebrazione dei morti dei nostri ricordi sussisteva una dimensione pagana (ma anche cristiana) che inseriva l’individuo nel flusso della vita accettando la morte e i morti, familiarizzando con l’idea e dando alle funzioni naturali la loro importanza (da qui i doni), nell’Halloween statunitense si afferma una fascinazione necrofila che associa alla mortel’orrore, e va a rendere il morto qualcosa di “altro da noi”, quando invece il memento mori ha l’esatto opposto cone funzione ben rappresentata dallo scheletro che ti dice “ciò che tu sei io lo sono stato e ciò che sono un giorno tu sarai”. Non è più Halloween intesa come Samhain ma solo Halloween come il titolo di una serie di film (horror).

Questo prodotto “culturale” made in USA propone non l’accettazione ma la rimozione della morte attraverso un Voyeurismo che separa e non include, aumenta la distanza dalla propria dimensione umano-naturalistica relegando la morte nel mondo del rimosso. Non ti fa capire che i morti saremo noi. E che i nostri morti ci hanno amati e dobbiamo amarli. Te li fa percepire come qualcosa di altro. È il contrario del memento mori. E non è salubre. Come tutte le celebrazioni consumistiche, congela l’individuo in un eterno presente (funzionale alla forma mentis consumistica, quindi schiava del golem economico) per cui la morte è una cosa che sembra appartenere a un altro piano. Il piano dei mostri, dei fantasmi, delle streghe, dell’orrore. Tutto ciò che è “Altro da me”. L’esatto contrario della famosa iniziazione nel bosco.
In altre parole allontana la persona dalla consapevolezza e va a inserire la morte nella massa proteforme del rimosso, con tutto ciò che ne consegue, facendo il lavoro del non essere, del Grande Impersonale quel “Nulla” di cui ha parlato Michael Ende nel libro “la storia infinita”.

Detto questo, se avete voglia di mascherarvi e divertirvi, fatelo e fatelo di cuore, ma ricordatevi di restare coscienti e consapevoli dei perché e dei percome, e dedicate un po ‘ del vostro tempo anche alla consapevolezza di cosa sia la morte, di chi avete perso (Bastano un po’ di silenzio, un ricordo, una fotografia) e forse esiste ancora in un piano contiguo a ciò che chiamiamo realtà. Magari rileggetevi la bella poesia ‘a livella del Principe Antonio de Curtis in arte Totò che con queste parole si chiude:”nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”.

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