“Essi ci hanno precipitato in un mondo gretto e disperato dove anche il sogno partecipa di immaginari meschini e dove l’uomo e’ tenuto a tutte le sottomissioni tranne a quella che non lo disonorerebbe: la sottomissione agli dei.
Sotto la loro laicissima e tollerantissima tutela della societa’, vige una lista di proibizioni, interdetti, scomuniche, opinioni illecite, argomenti irricevibili, argomentazioni perseguibili quale non sarebbero riuscite a compilare le peggiori tirannie di ogni tempo assommate insieme.
E purtroppo per loro nemmeno vale la regola che vorrebbe l’intelligenza arricchita da cio’ che proibisce a se stessa.
Ma Dio e’ il cuore attorno al quale si ordina il coro di tutto cio’ che gli uomini di ogni tempo e ogni luogo hanno chiamato Dei.
Di cio’ che tutto assieme si chiama Liberta’.
E la chiacchiera umanitaria non tocca questo cuore.”
(Renato Carpaneto- “La Mano di Gloria”)
“Non credi che esista l’anima, infatti tu non ne hai una” (Marracash)
Chiunque abbia mai posato la punta di una penna su un foglio sa che a volte ci frullano in testa dei pensieri, anche per mesi, anche per anni, i quali, pur avendo una loro coerenza, non raggiungono mai quella compiutezza organica tale da permetterci di tradurli in parole interessanti per il lettore occasionale. Non serve avere il pallino della scrittura. E’ sufficiente aver fatto un compito di Italiano a scuola per accorgersi che a volte abbiamo un universo nel petto ma non riusciamo a trovare il modo di aprire una breccia nella diga che lo contiene.
Poi ci viene in mente un episodio, assistiamo a una scena per strada, sentiamo una melodia che ci rapisce, leggiamo una scritta geniale sulla parete di un cesso pubblico, la crepa si apre e il Discorso sprizza come un Geyser tanto che l’entusiasmo che ne deriva è difficile da contenere.
Ieri questa cosa mi è successa in un multisala.
Mi ero recato lì per vedere il nuovo film di Scorsese senza nemmeno sapere con precisione quale argomento trattasse, ma soprattutto senza sapere che entrando in quel cinema, mi stavo in realtà infilando in una scenetta teatrale rappresentante l’Assurdo del Moderno.
Ultimo spettacolo.
Per buona parte della carrellata di trailer e pubblicità c’eravamo solo io e la mia ragazza. Poi, poco prima che le luci si spegnessero del tutto, è entrata in sala una coppia. Lui: capelli ricci brizzolati, barbetta incolta, occhiali con la montatura tonda, aspetto supponente.
Il dottor House.
Lei: anonimamente bionda e ben vestita.
Quello che si poteva evincere dalla loro conversazione era che non si trattasse di marito e moglie. Per quanto ne so potevano essere due amanti o una coppia ai primi corteggiamenti. Non escludo fossero semplicemente amici, ma era chiaro quanto lei subisse il carisma del suo accompagnatore. Questo perché la voce del ricciolino, nonostante fosse seduto due o tre file dietro di noi, si faceva sentire al di sopra dell’audio. Commenti emessi con un cattedratico esibizionismo che aveva tutti i colori della ruota del pavone. Accompagnati da risatine o brevi frasi di elogio da parte della signora.
In cinque minuti di pubblicità ho appreso più cose su di lui e sulla sua analisi sociale mondana e radical chic che non su ciò che pubblicità e trailer proponevano. Ma è stato con l’inizio della pellicola che l’arroganza del soggetto si è manifestata in tutta la sua monumentale pochezza.
Dovete sapere infatti che “Silence”, il nuovo film di Scorsese, mostra una realtà agli antipodi del caotico mondo degenerato rappresentato nel suo recente successo, “wolf of wall street”. Ha una sintassi completamente diversa. Rarefatta e sobria, ben intonata col titolo.
E’ la storia di due padri gesuiti che partono alla volta del Giappone per cercare un confratello scomparso il quale pare abbia abiurato per sfuggire alle repressioni del periodo Tokugawa. Nel loro viaggio incontrano delle piccole comunità cristiane che vivono in clandestinità la propria fede, terrorizzate dall’inquisizione giapponese, e si ritrovano a officiare messa per loro al buio, di notte, nascosti come i primi cristiani nelle catacombe.
Ora, non pretendo che una persona debba guardare solo film di cui conosce vita morte e miracoli, ma è evidente che, già dai presupposti della trama o anche solo dalla locandina, almeno una minima idea di cosa parli il film te la devi essere fatta. E se la cosa non ti va a genio, va contro alcuni tuoi pregiudizi ideologici, o semplicemente urta la tua sensibilità, riesco a immaginare solo un grande masochismo a spingerti in sala se la pellicola vai a vederla lo stesso.
Ve lo immaginate Berlusconi che paga il biglietto per vedere “Il Caimano”?
O non ci va, oppure lo guarda fino alla fine e lo commenta dopo.
Il dottor House evidentemente non era di questa scuola (l’unica per chi abbia un minimo di onestà intellettuale) perché dai primi minuti ha iniziato a gemere, sentenziare, imprecare ogni volta che i due protagonisti parlavano di “volere di Dio”, “amore di Dio”, “Fede” ecc., e la sua compagna di scorribande rispondeva con tono dimesso abbozzando qua e là qualche battuta (Viene da chiedersi come il nostro amico pretendesse che si esprimessero due gesuiti nel settecento).
Stavo seriamente cominciando ad irritarmi, ma il problema si è risolto da solo: tempo mezz’ora e i due hanno lasciato la sala stizziti.
Ed è stato un peccato, perché il film, lungi dal risolversi in una facile apologia del Cristianesimo, metteva in tavola una serie di argomenti tutt’altro che facili evidenziando le differenze antropologiche e l’incomunicabilità fra due culture per molti versi opposte.
Lo spettatore, pur scosso dalla violenza della repressione operata dallo shogunato, a meno di non essere un ultrà della chiesa, veniva messo davanti a un dilemma di non facile soluzione ovvero: vale veramente la pena esportare una religione o una filosofia di vita, una prospettiva in luoghi dove si sono già sviluppate altre culture?
A cosa andiamo incontro nel farlo?
Lo stiamo facendo per noi o per loro?
Un amico una volta, per spiegare come mai più o meno ogni latitudine ha una sua religione, aveva così argomentato: “come te magni, cussì te pensi” (come mangi, così pensi), e parte della tesi del film diceva proprio questo.
Non capirlo significa essere capre.
Sarebbe facile dire “il dottor House è un coglionazzo”.
Non si è dimostrato una cima, né una persona curiosa e intelligente, ma non è certo il solo in questa società. A ben vedere, siamo circondati da gente simile.
E’ infatti da circa un decennio, ma forse di più, che la religione cristiana è diventata un tabù. Non un oggetto di critica.
Un vero e proprio tabù.
E dichiararsi cristiano è diventato più difficile che fare outing in merito alla propria omosessualità a un raduno di naziskin.
Non è sempre stato così.
Quando ero ragazzino il mio mondo era diviso tra chi credeva e chi no e ‘sticazzi. Chi credeva si beccava l’appellativo di “bacia banchi”, chi non credeva ed aveva una formazione materialista era un “senzadio”. Ma più spesso agli uni fregava ben poco degli altri, checché oggi se ne dica.
Due squadre.
Il mondo andava avanti tranquillo.
Poi qualcosa a metà anni novanta è cambiato, e quello che poteva essere un sano atteggiamento anticlericale (presente in origine tanto a destra quanto a sinistra) si è trasformato in una forma di fanatismo che non ammette repliche, eccezioni, diversità. Una mentalità colonialista (Pasolini avrebbe detto “fascista”)che non ammette il diverso e lo vuole annientare.
E se ciò si risolvesse in un semplice anticlericalismo da una parte e atteggiamento bigotto dall’altra, la cosa non farebbe troppa impressione. Il punto è che il corollario che ci va di pari passo è uno scientismo grossolano (spesso mera applicazione di modelli matematici descrittivi, letti male e capiti peggio), un verbo materialista ossessivo e violento che avanza come uno schiacciasassi annullando culture e tradizioni filosofiche millenarie, liquidandole con la dialettica di un bambino di cinque anni.
Cioè di un americano.
E infatti a essere oggetto degli strali di questi raffinati intellettuali non è la teologia, ma l’interpretazione escatologica delle scritture, una cosa appunto da americani, che su suolo cattolico attecchisce solo sui soggetti più ignoranti. Che esistono, certo, ma non sono i soli cattolici.
E’ in corso di stesura un articolo (ahimè assai lungo) sull’argomento. In questa sede quello che preme sottolineare è che oggi esiste un Pensiero Unico per cui la religione cristiana (e per estensione ogni aspirazione alla trascendenza, perché la cosa grave è che questo pensiero non si ferma alla religione ma si estende in molti casi a tutto ciò che è metafisico) è sotto attacco.
Ma se attacchi la mia fede o la mia semplice aspirazione alla trascendenza, la mia percezione della presenza di un mondo metafisico invisibile e irraggiungibile, attacchi anche il mio desiderio di elevarmi da uno stato meramente animale.
Non che il cristiano medio dal canto suo, fra family day e populismo da parrocchia, faccia a sua volta la figura del raffinato pensatore o del soggetto spiritualmente elevato. Il suo è un verbo materialista uguale e contrario che con la fede ha ben poco a che vedere.
Due facce di una stessa, grossolana, medaglia.
E’ il web 2.0 (un specie di discarica in cui finisce tutto il peggio della nostra società) che sta facendo vibrare in questo modo lo psichismo collettivo, attraverso link, gif, meme, portando le persone meno strutturate ad un odio cieco e carico di irrisione verso chi crede (o chi professa).
Basta farsi un giro su facebook o youtube per vedere quanta merda venga gettata, spesso in modo infantile, contro la chiesa. Pagine che ridicolizzano in modo più o meno esplicito i simboli del cristianesimo e spesso di altre religioni, pagine in cui l’autore si finge un prete o un fedele che dice cose stupide, e lo stesso capita quando accendiamo la radio. Umorismo grossolano, accuse assurde, attacchi feroci come quelli di Piergiorgio Odifreddi che dovrebbero in teoria lasciare il tempo che trovano.
Dovrebbero…
…se la cultura media non fosse quella del nostro amico Dottor House, e se la gente non fosse così disperata da avere bisogno di idee forti e concetti semplici di cui subire il carisma. E’ il meccanismo del populismo, non più limitato alla politica ma a tutto ciò che è costume e cultura. E da lì ha invaso la psiche di tutta la società.
Molti di noi, rispetto a certe idee, sono come l’amica bionda del Dottor House: si lasciano colpire e imitano. Non sono in grado di sviluppare una coscienza critica e vivono come pecore nel gregge. Ammaliate dal presunto carisma di personaggi la cui unica virtù consiste nell’asserire con fermezza idee rette da logiche farraginose e stupide, ma corredate di discutibili ipse dixit.
Di questi tempi il messaggio che si vuole far passare è che l’uomo sia una mera macchina biologica retta da istinti con tre priorità: cibo, sesso, territorio. E le innumerevoli trasmissioni televisive di cucina, il pansessualismo di pornografia, pubblicità, cultura, e la violenza sociale lo dimostrano ogni giorno.
Fatevi un giro su facebook e vedrete solo rifermenti sessuali, foto di pietanze, sfoghi violenti.
Nell’uomo del web 2.0 ogni pensiero che si elevi dalla logica dell’utile (non solo economica, anche del semplice vantaggio a scapito di qualcuno), è qualcosa di strano da evitare quando non patologico da stigmatizzare.
In questo mondo il bicchiere è “di vetro”, non “di vino”.
E ti impone di vederlo di vetro.
Te lo impone perché ormai il materialismo scientista è un dogma che non si può eludere. Ed è naturale sia così, perché è funzionale al capitalismo alla reificazione e mercificazione di ogni cosa, uomo compreso, sogni compresi.
Non si vuole entrare in questa sede nel merito della questione politica su cosa ci sia di giusto e cosa di sbagliato nella Chiesa, ma solo osservare ed evidenziare un atteggiamento totalitario generalizzato che investe tutto, non solo l’istituzione cattolica.
Totalitario e impositivo.
Praticamente una contro-inquisizione.
Il film di Scorsese parlava anche di questo.
Di un paese in cui si vuole vietare il cristianesimo e lo si fa con i metodi violenti tipici della repressione totalitaria (e della Chiesa stessa), e in cui chi crede è costretto a vivere in silenzio la propria fede.
Ora, non so quante fra le persone che stanno leggendo lo abbiano notato, ma ultimamente l’idea di “credere in Dio” (un’idea a cui ciascuno di noi può dare un significato differente e che, lungi dal fornire un’informazione, apre casomai un discorso ampio e complesso a meno di non essere un ciellino), è diventata praticamente un peccato.
Se un tizio esce da un cinema a inizio film perché indignato dall’argomento religioso, è chiaro che aleggia nella psiche collettiva una suggestione di un certo tipo.
E un dogma.
Oggi si teme molto di più il biasimo affermando di credere che non affermando simpatizzare per l’Isis.
Credere in Dio è diventato una cosa da sussurrare temendo di essere sentiti. Come ai tempi dei primi cristiani o come ai tempi della storia narrata nel film di Scorsese.
In un contesto simile, scremato fortunatamente dalla violenza fisica (ma non psicologica), APPARENTEMENTE democratico e tollerante, non vale più la pena combattere per tener fermo il punto. Sia esso Dio, o un ideale politico tabù. E’ uno spreco di energia che nemmeno gode di quella catarsi che vede nel sacrificare la propria vita per un ideale la realizzazione di uno stato superiore dell’essere, visto che né è possibile il sacrificio totale, né si trova avversario degno.
Nel film il frate e i cristiani che non abiurano fanno una pessima fine, e viene da chiedersi se davvero abbia senso subire il martirio, perché nello svolgersi della trama vediamo anche qualcos’altro.
Vediamo che chi abiura formalmente, gesuiti compresi, continua fino alla morte a vivere in segreto la propria fede. Nascondendo croci nell’interno di cuciture dei vestiti, pregando in silenzio, ma tenendo comportamenti sociali che sembrano dire il contrario. Addirittura il protagonista, così come il suo padre spirituale, collabora con l’inquisizione per trovare e far sparire simboli cristiani. E con l’ attività di censura non solo copre se stesso, ma previene la possibilità che i cristiani giapponesi si mettano in pericolo.
In altre parole, coloro che abiurano tenendo viva la fede diventano custodi di un segreto, intimamente con Dio ma fisicamente nella folla.
C’è un totale rifiuto della forma in nome della sostanza, della quantità in nome della qualità, in questa tesi.
Un messaggio quantomai attuale.
In questi anni confusi, infatti,il silenzio torna ad avere significato.
La strafottenza degli ignoranti e dei figli di facebook rischia di offuscare la luce che alberga in alcuni di noi. La violenza omologante è tale che opporsi alla marea rischia solo di farci travolgere, spostandoci più lontani di dove saremmo potuti restare coltivando in silenzio le nostre idee, comunicandole a chi ci è simile.
Avrebbe senso mettersi a discutere con un personaggio come il Dottor House?
Perderemmo tempo ed energia.
Vita.
Non tutta in un botto, ma a piccole rate di cazzeggio inutile, chiacchiericcio sterile, insomma tutto ciò che si fa nei talk show e sul web. Tutto ciò che sta lentamente uccidendo la nostra capacità di concentrazione, pensiero coerente, analisi.
Oggi non si muore inchiodati a una croce o arsi vivi.
Si muore a piccole dosi, ogni volta che ci si lascia prendere dal sistema sprecando il proprio tempo dietro a cose che lasciano il tempo che trovano. A volte perdendo prestigio, dopo essere stati presi a sassate dall’irrisione della massa.
Il controllo sociale, oggi, si esprime attraverso i social network.
Non dobbiamo pensare a chi, come il sottoscritto, è cresciuto in anni non ancora contaminati dalla piaga dei social. Ma a chi oggi, in adolescenza, fa capolino fuori dalla famiglia attraverso facebook o qualche analoga diavoleria. Per questi soggetti, essere travolti dalla riprovazione dei propri amici virtuali, corrisponde all’umiliazione che un tempo noi avremmo provato subendo il bullismo dei compagni più prepotenti. Solo che non sono il corpo o il coraggio a venire lesi qui. Ma le idee. Se osi dire qualcosa che non corrisponde al medio pensare, sei un fuoricasta e rischi l’ostracismo. E vivi nel tuo intimo il disagio di qualcosa che è avvenuto in un mondo intangibile ma presente e contiguo al nostro.
In questo senso si può riscontrare una certa analogia tra l’odioso e strafottente atteggiamento dell’inquisitore, sempre ironico e supponente e la voce del volgo materialista che sbraita su facebook nella convinzione di portare avanti idee intelligenti e sensate con fare sornione.
Davanti a tutto questo, se tu credi in Dio, nel comunismo, negli alieni, sei convinto di avere dei superpoteri o dei sogni premonitori, la cosa più intelligente che puoi fare è documentarti, verificare, scremare le idee, distinguerle dalle cazzate, e poi cercare chi è come te, perchè altrimenti l’uomo massa ti becca prima e ti travolge con la forza del numero.
Non ha senso combattere contro i mulini a vento della stupidità.
Oggi, per chi pensa e sa cosa sia il pensiero, torna in auge il caro vecchio dogma del silenzio, alla base di tante realtà spirituali e filosofiche, catene iniziatiche, scuole di arti marziali.
E ha senso uscire allo scoperto solo quando siamo certi di essere sufficientemente corazzati da reggere il confronto, scegliendoci avversari degni, non i poveri nativi del web, perché non ha senso perder tempo a cercare l’approvazione del volgo scrivendo su facebook.
Piuttosto pubblica un libro.
O, semplicemente, rimani in silenzio e ascolta quel silenzio come suggerisce questa canzone (link).
Ne verrà qualcosa di buono, credimi.
Non fare come loro altrimenti diventerai loro.
Chi ha orecchie per intendere, intenda.
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Azzeccato e attuale
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Non è piaggeria se affermo l’assoluta lucidità e coerenza delle idee da te espresse. Non è consueta l’idea che il silenzio sia la più forte delle voci esprimibili; diviene consueta soltanto se si ha la sensibilità e la forza di dileggiare chi è incapace di pensiero coerente e costruttivo in nome della forza prepotente. Complimenti.
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Complimenti è veramente un bell’articolo non tutti riuscirebbero a capirlo purtroppo perché quello che scrivi è vero e fondamentale ma come dici la gente oggi non pensa e soprattutto ha paura di pensare.