Tutta colpa di Walt Disney e Paris Hilton!

buonacane1-510x401Ci sono opere d’arte di fronte alle quali ogni parola è superflua.
La scultura in cuoio riprodotta nella foto che correda l’apertura del presente articolo dovrebbe essere una di queste.

Cane-Louis-Vuitton_04Un cane trasformato in borsetta di Louis Vuitton. Basterebbero queste otto parole ad aprire e chiudere qualsiasi discorso, ma è l’espressività della realizzazione a colpire più del soggetto stesso: sa di prostrazione, fatica, annichilimento.
Le orecchie basse, la postura esausta, lo sguardo rassegnato e ingenuo al contempo che ricorda quello delle bestie da macellazione rappresentate dall’illustratrice animalista Sue Coe(link).
Il marchio dell’azienda francese stampato sulla pelle.
Suggestioni violente che in musica ci verrebbero dall’industrial, dal metal estremo, dai più caustici testi Hip Hop.
In questa scultura è racchiusa una mappa utile per orientarsi nel mondo di una delle più subdole psicosi di massa dell’ultimo decennio: quella della trasformazione dell’animale domestico in un prodotto di consumo, quando non in uno status symbol.
A riprova della dimensione patologica ed esasperante che il fenomeno sta assumendo, sia sufficiente sapere che siamo venuti a conoscenza di questa potentissima testimonianza reperendola da un blog dedicato agli animali domestici (zeppo di banner pubblicitari di Royal Canin e compagnia, tanto per intenderci) la cui autrice, con l’approvazione dei suoi lettori, si diceva offesa e indignata dall’opera cui non riconosceva alcun valore artistico.  In altre parole, manifestava incapacità di cogliere i messaggi provenienti dal mondo come spunti per interpretare fenomeni sociali e dinamiche psicologiche interne.
La lettura dell’articolo e dei commenti relativi suggeriva poi il sospetto che questi  “critici” pensassero si trattasse di un’opera realizzata con la carcassa di un cane, e non di una scultura in cuoio (vi è da dire in loro favore che in effetti la presenza di discutibili artisti come Hirst e Nitsch nel panorama artistico mondiale, e lo sdoganamento presso la critica “alta” di un film come Canibal Holocaust, che nessuno si sarebbe mai filato se non fosse stato per l’ecatombe di animali in esso rappresentata  non aiuta a vederci chiaro).306529
Anche senza citare simili pittoresche prove di sprovvedutezza popolare, che di per sé costituiscono casi limite di ingenuità, emotività e dabbenaggine, è sufficiente pensare alle reazioni suscitate dalla recente uscita del papa quante volte vediamo gente legata ai gatti e i cani che poi lascia sola e affamata la vicina. NO per favore no!
Più sui social network che nell’informazione ufficiale si è osservata una (francamente incomprensibile) levata di scudi, un’immotivata indignazione che ha tutto il sapore della ribellione verso una figura autoritaria percepita come “scomoda”.
Eppure Papa Francesco non ha istigato alla promulgazione di leggi le quali prevedano la persecuzione e l’esecuzione degli amati quadrupedi (si veda ad esempio la “soluzione finale” operata in Romania qualche anno fa per risolvere il problema del randagismo), né ha definito le bestie indegne di considerazione o affetto. Si tratta di una riflessione e  di tutt’altro ordine e di un monito che ha a cuore la psiche dell’uomo, la sua percezione della realtà, in una parola la sua salute. Qualcosa di cui la chiesa, perlomeno formalmente e al netto delle sue magagne, dovrebbe occuparsi.
Sarebbe proprio la sua materia, a ben vedere.
E’ vero che l’uomo dell’età moderna, filosoficamente con l’illuminismo e praticamente con l’industrialismo, ha assunto una prospettiva strumentale e prevaricatrice nei confronti della natura e di conseguenza degli animali,  ed è vero anche che la Chiesa, in un percorso storico che l’ha trasformata da guida a sguattera dei potenti, ha giustificato questa prospettiva non opponendovi particolari resistenze, da brava vassalla dei nuovi poteri che andavano via via formandosi nell’era moderna.
Ma l’affermazione del Papa non va interpretata in questa ottica perversa che pone non  l’uomo ma la produzione al vertice della piramide.
Non va letta come una certificazione della superiore dignità dell’uomo sugli animali. Chi così ne interpreta le parole dimostra di avere scarsa capacità di ascolto e comprensione, perchè quello di cui si occupava il discorso (e di cui si dovrebbe occupare la Chiesa) è l’anima (la psiche, se gli estremisti della secolarizzazione inorridiscono davanti alla parola “anima”) dell’uomo. Non fa riferimento agli animali ma alla percezione di essi da parte dell’uomo.
E’ ben diverso.
E l’impostazione del pontificato di Bergoglio, a volte magari con soluzioni goffe e fuori luogo, è sempre stata caratterizzata da una certa attenzione ai fenomeni sociali in atto.
Simpatica o no che possa esserci la chiesa, bisogna riconoscere a questo discorso una grande fondatezza.

Sarebbe disonesto da parte di chiunque non riconoscere quanto sia ormai largamente diffusa una drammatica distorsione percettiva madre della patologia che l’etologo Hubert Montagner ha chiamato zoomania. Si registra ahimè troppo spesso un atteggiamento che porta molte persone ad attribuire caratteristiche umanecappellino-cane-piccola-taglia agli animali domestici (rendendo la vita difficile e innaturale proprio a questi ultimi), o addirittura a formulare affermazioni eccessive come “le bestie sono meglio degli uomini”. Non si vuole in questa sede negare che gli animali abbiano un universo emotivo (e anche psicologico) molto più profondo di quello che comunemente si sospetta. E men che meno si vuole negare che l’affermazione di cui poco sopra abbia un fondo di verità: le bestie non conoscono la nostra ipocrisia perché i loro rapporti non sono mediati dalle parole.
Ma le bestie non sono persone e vomitarla con veemenza certifica il fallimento nei rapporti umani di chi la pronuncia, senza contare che anche negli animali un minimo di calcolo opportunistico è presente, altrimenti sarebbero impossibili l’addestramento e l’educazione di certe specie.
Un’istituzione come la Chiesa che, per quanto precipitata, almeno sulla carta  dovrebbe accompagnare l’uomo e osservarne le dinamiche sia interiori che sociali, non può permettersi di ignorare che c’è qualcosa di drammaticamente distorto in questo “amore”. OsojNyS
Abbiamo marginalmente toccato l’argomento nell’incipit dell’articolo “quanto è corto il tuo guinzaglio?” cui rimandiamo per approfondimenti (http://lupinelgregge.it/?p=35 ), divagando poi in altre considerazioni relative alla diffusione degli animali domestici, alla crescita del mercato di alimenti ed accessori per i nostri piccoli amici e ad alcuni significati simbolici .
In questa sede non si vuole aggiungere rumore a rumore cercando di realizzare una diga di stuzzicadenti per contrastare uno tsunami che star come Paris Hilton e Robbie Williams alimentano, probabilmente sponsorizzati dai colossi dell’industria del settore “pet”: partiremmo già sconfitti dalla superiore potenza di fuoco rappresentata dal bombardamento informativo robbie william ayda fieldhilton460x276
cui siamo tutti sottoposti ogni giorno. Per non parlare degli strali che ci arriverebbero, dettati dall’emotività dei quei finti animalisti, che potremmo più legittimamente definire animalari e che nulla hanno a che vedere coi veri animalisti.
Vorremmo invece restare sull’affermazione del papa perché è significativo che pochi ne abbiano carpito il messaggio.
La reazione che si è registrata sembra lo sdegno del bambino che punta i piedi perché gli è stato sottratto un giocattolo.
Un giocattolo, già.
Nonostante gli animalari si vestano delle migliori intenzioni, è questo il ruolo che nella vita di molti hanno assunto cani, gatti e compagnia bella. Palliativi che sopperiscono a una mancanza.
A riprova di ciò basti pensare che alcune razze di cani sono selezionate per restare piccole. Si dà ad esse il nome “toy”, giocattolo. Consumano poco, non ingombrano, sono gestibili e ricordano i peluches.
Stanno in una borsetta (da dove eravamo partiti?).
Ma quello che molti ignorano è che tenere un cane in una borsetta o portarlo perennemente in braccio è il modo migliore per renderlo un alienato insicuro. Ed è da qui che nasce il fenomeno del chihuahua aggressivo e fastidioso: non essendosi mai staccato dal surrogato del grembo materno rappresentato dall’abbraccio del padrone o dalle rassicuranti pareti della borsetta, una volta messo a terra perde le proprie certezze sentendosi proiettato in un mondo ostile, in un’arena in cui tutto rappresenta una minaccia.
Da qui nasce un corollario “scomodo”, visti i tempi che corrono: la borsetta è uno strumento di diseducazione cinofila, quando non di maltrattamento. Certo, fa meno impressione di un collare elettrico, ma sortisce effetti non meno annichilenti nel povero quadrupede. Quando per il maltrattamento di un gatto si invoca la pena di morte se non la tortura, ma non si dice nulla all’oca giuliva che fa indossare un diadema al suo cane in borsetta, significa che ormai non vediamo più la realtà.vasto-assortimento
Educati dal consumismo a curarci solo di noi stessi, ad avere tutto per noi, a usare gli aggettivi e i pronomi possessivi per indicare ogni oggetto, quando la possibilità di accedere ai beni materiali ha iniziato a ridursi sensibilmente, ci siamo rivolti agli animali per rispondere a quella esigenza che un tempo spingeva a figliare scriteriatamente per caricare di aspettative il nostro pargolo che avremmo mandato a fare tennis, pianoforte, calcio.
In tempi di crisi, non solo economica ma anche esistenziale, emotiva, valoriale, ci si attacca a dei palliativi: ciucci, giocattoli, coperte di Linus. Non è un caso che mai come oggi l’industria dell’intrattenimento (la musica, il cinema, i locali alla moda)  registri tanti adepti. Come Zagreo,  destinato da Zeus ad essere il signore del mondo ma sedotto coi balocchi dai titani che poi lo squarteranno per divorarne le membra, l’uomo moderno non si interroga sui problemi che concretamente lo riguardano e la cui risoluzione lo renderebbe sovrano del (proprio) mondo. Ha sempre qualche balocco che lo distrae attirandolo in un mondo dove il suo io più profondo, in mancanza del gurdjieffiano “centro di gravità permanente” viene smembrato e disperso. Basta entrare in un centro commerciale per rendersi conto di che facili prede siamo e di quanto veniamo sbranati ogni giorno dai titani dell’economia.
E non è un caso che in questa epoca non si possa fare una passeggiata senza incrociare una decina di persone a spasso col cane. Un animale domestico costa meno di un figlio e resta “tenero” per sempre. Non avrai nemmeno grossi problemi con la sua adolescenza perché lo castri. Rimane in un mondo infantile, disneyano, da Trudi.
E infatti, nonostante la crisi economica in corso e, per ragioni psicologiche proprio a causa di essa, il settore dell’alimentazione e degli accessori per animali è uno dei pochi in crescita, soprattutto se si fa riferimento ai prodotti alimentari di fascia alta e gli accessori di lusso, gioielli-canedove per “accessori di lusso” non ci riferiamo semplicemente a guinzagli o collari pregiati, ma a veri e propri gioielli collari-di-lusso-per-cani-gioielloquando non addirittura indumenti (non i semplici cappottini antipioggia).
Provate a mostrare ad un moldavo, a un rumeno o a un coreano questo genere di prodotti e guardate lo sprezzo disegnarsi sul loro volto.
E di sicuro non odiano gli animali.
Anzi, è altamente probabile che vengano da un mondo contadino mille volte più sano del nostro occidente consumista.

Quando l’adunca mano invisibile dell’economia affonda il suo artiglio in un certo ambito dell’esistenza, si può star certi che lo fa perché c’è un terreno fertile nell’uomo, un addestramento al consumo che non nasce semplicemente da un bisogno più o meno immediato come può essere quello alimentare, ma da una forma mentis, da una serie di automatismi emotivi e psicologici su cui può far presa il messaggio pubblicitario. cane-premio
Siamo sottoposti ad un addestramento non dissimile da quello con cui Fido accetta di mettersi in piedi sulle zampe posteriori in cambio di un biscotto. Se impariamo a leggere la realtà dell’economia nella giusta prospettiva, potremmo, seppur con un dolore che non lascia speranze, riconoscere noi stessi come “bestiame”, come terminale della macchina economica che alimenta con il proprio denaro, quindi con il frutto del proprio lavoro, quindi con la propria energia, la macchina economica (e qui, decodificata la metafora fantascientifica, le fin troppo citate coltivazioni umane di Matrix ci tornano utili come rappresentazione della realtà che stiamo vivendo da ben prima dell’altro ieri.link).
Razza umana addomesticata.
Ogni generazione ha il suo leitmotiv, principio dal quale discende una certa incomunicabilità fra quelle meno vicine le une alle altre.
Le ultime hanno visto un incremento di sensibilizzazione nei confronti degli animali, e più in generale delle questioni ambientali. Da ciò deriva un corollario tutt’altro che trascurabile: a muovere l’indignazione popolare oggi, specie quando si parla di paesi “rivali” dell’occidente come la Cina, più che le condizioni dei lavoratori (che casomai i nostri politici e i grandi dell’economia, pur non dichiarandolo, prendono come modello verso cui tendere) è il modo in cui vengono trattate le bestie. (E nemmeno tutte, visto che non si è mai sentito parlare di maltrattamento delle lucertole, degli scarafaggi, delle meduse o dei topi). La cina non indigna l’Occidente per gli operai delle autostrade che dormono sull’asfalto e ogni tanto ci restano secchi, ma per le condizioni in cui vengono tenuti gli animali nei mercati, o per il fatto che da quelle parti i cani si mangiano (evidentemente in occidente si ignora che il maiale sia una bestia estremamente intelligente e lo stesso dicasi per il polipo).
Tirare in ballo il maltrattamento degli animali è ormai un artificio retorico suscettibile di muovere l’opinione pubblica come e più dell’Olocausto!
Sia ben chiaro che qui non si vuole in alcun modo legittimare certe barbarie, ma sottolineare come oggi questo argomento sia uno strumento di manipolazione di massa capace, come la subordinazione femminile o il già citato Olocausto, di creare la base popolare per appoggiare un boicottaggio quando non legittimare una guerra!
E così come può servire per farci cambiare idea sui cinesi (che prima di internet, dell’animalismo di massa e soprattutto della propaganda occidentalista guardavamo come maestri di vita tutti in fissa come eravamo con le palestre di Tai Chi Chuan. Ma erano gli anni novanta ed era la moda), può a maggior ragione spingerci a compiere sacrifici economici per comprare accessori che né Fido né Minou ci hanno mai chiesto.pet-a-porter
Già perché quello che sembra passare sotto silenzio è il fatto che i nostri gatti e i nostri cani sono i primi a non essere minimamente interessati ai regali che noi elargiamo loro.
Di più: molto probabilmente, come abbiamo poc’anzi detto in merito alle borsette, i loro accessori sono per loro orpelli fastidiosi se non deleteri.
Come si può, ad esempio, applicare un sonaglio al collo di un piccolo predatore capace di sentire il rimbalzo di una pallina o riconoscere una voce per strada nonostante clacson e motori? Che riesce a sentire uno scarafaggio camminare nell’intercapedine del muro nonostante la televisione accesa?
Non vogliamo negare che a volte possa anche essere divertente, magari facendola UNA volta, la goliardata di scattare qualche foto originale al proprio piccolo amico, magari vestendolo da Babbo Natale o da renna o da qualsiasi cosa ci venga in mente, ma è l’ipertrofia di questo atteggiamento, capace di permettere a determinati articoli di affermarsi sul mercato, a lasciare senza parole.
Questo non è rispetto per la bestia, ma asservimento, anche se non ce ne rendiamo conto.
Walt Disney ci ha educati a credere in una natura che non esiste, ce l’ha fatta umanizzare e ci ha quasi convinti che quello naturale sia uno stato edenico del tutto congeniale all’uomo.
In un certo senso lo è, perché è DAVVERO perfetta, ma nell’ottica ben rappresentata dal simbolo del Tao, taijiin cui gli opposti si compenetrano e sono racchiusi in un cerchio entro il quale tutto si riequilibra.
Ma la natura è teatro di massacri e sopraffazioni fondate sulla forza e,  a crederla un luogo ospitale dove l’uomo è bene accetto, si commette l’errore di quel tizio che si fece sbranare dai grizzly convinto questi lo avessero accettato (Werner Herzog girò un documentario informazioni sul quale sono reperibili a questo link).
Chi ha avuto la fortuna di conoscere le opere di Jack London sa che i suoi eroi affrontano la natura e cercano di sopravvivervi il più a lungo possibile, non essendo essa ospitale. Cercatori d’oro, avventurieri, cacciatori o incroci fra lupo e cane, il denominatore comune è l’essere attori in un teatro, la natura, che non lascia scampo a nessuno. Non per crudeltà, ma perché il suo sguardo è neutro, indifferente alle agonie e agli affanni delle creature che l’abitano.
Ho avuto modo di leggere di recente “Zanna Bianca”, un romanzo che solitamente si legge in età puberale, ma tant’è.
E’ la storia della lotta per la sopravvivenza di un meticcio nato dall’incrocio tra un lupo ed un cane, ed è anche, perlomeno nella sua fase finale, la storia d’amore di questo con l’uomo che diventerà suo amico. Non dev’essere una lettura facile per chi ha il chihuahua perché l’ha visto a Paris Hilton fresca del sex tape che la rese famosa, porta a spasso il labrador perché lo ha visto nella pubblicità della carta da culo, o coccola l’Akita perché, dopo aver visto Hachiko pensa il nuovo amico sarà più fedele della moglie lampadata che intrallazza col personal trainer, anche lei a quattro zampe.
Zanna Bianca non è una figura rassicurante come non lo è mai tutto ciò che è bello e vivo.Wyoming-Wolf1
E’spietato, ed ostenta ferocia perchè il mondo intorno a lui è ostile. Sono ostili gli uomini, sono ostili gli altri animali ed è ostile la natura selvaggia. La sua iniziazione alla vita ricorda quella del Conan di John Milius: sangue, dramma, rapimenti, schiavitù, opportunismo e pochissimi piaceri. Ovviamente la storia ha un’evoluzione che porterà il bel canide a essere amico di un uomo, ed è encomiabile lo sforzo di London nell’immaginare e descrivere i moti interiori del bestione.
Quello che rileva ai fini del nostro discorso è il fatto che fino a non molto tempo fa la natura era guardata dall’uomo con occhi ben diversi rispetto allo sguardo che animalari e sedicenti ecologisti oggi le dedicano. wolves-eating
l’amore per il movimento non è caratteristica del mondo selvaggio.La vita è per esso un’offesa perchè la vita è movimento, e il mondo selvaggio mira sempre a distruggere il movimento. Gela l’acqua per impedirle di raggiungere il mare, fa fluire dagli alberi la linfa finchènon si ritrovano congelati nel profondo del loro cuore potente; e tuttavia è sull’uomo che il mondo selvaggio si avventa con maggior impeto, sottomettendolofino ad annientarlo completamente. L’uomo, il più irriducibile degli esseri viventi, che sempre si ribella alla sentenza secondo la qualeogni movimento è destinato a eaurirsi nella cessazione del movimento.”

Erano le parole con cui, nelle prime pagine di Zanna Bianca, London presentava il teatro del suo romanzo. Certo: si sta parlando dell’Alaska e certo: a scrivere è un uomo che ha fatto esperienze da avventuriero dalla ricerca dell’oro come Zio Paperone al saccheggio dei treni come un eroe del far west, un personaggio che con la natura ha combattuto, ma è significativo che fino a non troppi anni fa fosse così che si descriveva la natura, persino in un’opera che uno si aspetterebbe quasi fiabesca avendo come protagonista un cane.
Ma questo è un cane che uccide i suoi rivali, sbrana i pulcini e ringhia contro gli uomini. Non ha nulla di umanizzato, non si chiama né Lassie né Balto.
E menomale!
Impensabile oggi scrivere qualcosa di simile senza fare una marea di premesse e giustificazioni, eppure la natura è anche (e soprattutto) questo!
E’ proprio in questo magmatico susseguirsi di forze in lotta che vediamo il capolavoro del creato: un cerchio perfetto in cui tutto, anche la più brutale carneficina ha il suo perché e il proprio speculare opposto.
La natura benigna e materna, il cane “umano” non sono opera degli dèi ma artifici dell’uomo, artifici utili solo a rassicurare gli sprovveduti che si sono arroccati fra le quattro mura di casa sognando una natura vista solo nei film di Walt Disney.  Un mondo in cui ogni cosa ha il cartellino del prezzo e su cui troppi proiettano il proprio universo emotivo, le proprie speranze, le proprie mancanze immaginandolo a misura d’uomo. La stessa arroganza dei cacciatori di frodo o dei grandi dell’industria che avvelenano il mondo.
Se ci offendono le parole del Papa, se ci indigna una scultura rea di vomitarci in faccia ciò che abbiamo scelto di non voler vedere, se siamo capaci di dire che le bestie sono meglio degli uomini e invochiamo la pena di morte per il maltrattamento di un animale (di solito solo quelli domestici o comunque carini), ma poi restiamo indifferenti ai problemi delle persone, dovremmo prima di tutto chiederci cosa sia quella cosa che ci manca (per le donne col chichuahua in borsetta un’idea ce l’avremmo…) e ci fa cercare qualcosa fuori anziché dentro di noi.13177810_10209380609982094_7884928704867930761_n

Non si devono amare le bestie per difetto ma per sovrabbondanza di energie. Non si deve arrivare ad esse in via residuale perché le persone ci hanno deluso, come purtroppo molti fanno, ma perché abbiamo qualcosa da dare loro, altrimenti saremo solo dei vampiri che prendono, tenendoli prigionieri come schiavi di guerra.
Ed è doveroso ricordare che gli animali non sono la nostra “brutta copia” bensì “un’altra cosa” che va rispettata per quello che è, non per la sua perversa umanizzazione che fa male a loro e a noi.

1 commento

  1. Preludio

    …un “grazie” a nome di tutti i Minou, i Vlad, i Mose’, i Fiordilatte e i Mascherina….

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