Il primo libro di Renè Guenon che lessi fu quello che Evola citava di più: “La crisi del mondo moderno”.
Lo lessi svariati anni fa e forse è il caso di rileggerlo, perché al momento, a parte i riferimenti tradizionali in senso stretto, l’unica frase che ricordo nitidamente, era contenuta nel capitolo sulla filosofia moderna, in cui si commentava il caos in cui era caduta la recente storia del pensiero filosofico. Sottolineava come nel caos di migliaia di modelli, sistemi, ed autori, si accumulava più confusione che Verità.
La frase suonava più o meno così: “E’ molto meglio ripetere una verità detta da altri che sforzarsi di inventare un nuovo errore”.
Per questa ragione, per far passare il concetto che questo articolo vuole esprimere non cercherò di sforzarmi di “dire la mia”.
Molto più umilmente mi limito a riportare una favola di Gianni Rodari, presa dalla raccolta “favole al telefono”, che probabilmente molti già conoscono perché la lessero alle elementari.
Non è una favola “strana”, o “dark”, di quelle che vanno di moda da quando la nefasta figura di Tim Burton (e, duole ammetterlo, anche quella di Neil Gaiman da un po’ di tempo) ha iniziato a imperversare sull’immaginario collettivo infantilizzando gli adulti e regalando inutili depressioni ai giovani. Dando involontariamente delle coordinate estetiche al movimento emo. Insegnando non la tolleranza verso il diverso, che nasce dall’amore, ma il “compiacimento nella diversità” e il vittimismo, che nascono dall’egocentrismo di chi dice “sono tutti cattivi tranne me”. Trasformando l’originalità in convenzione sociale e distruggendo tutto ciò che di bello e misterioso vi era nel mostro.
Il messaggio è dirompente, e in fondo gli elementi sono gli stessi delle favole di Burton,
ma questa storia ha il pregio di essere raccontata nel modo chiaro e pulito che si ha quando ci si rivolge a un bimbo.
Del resto il protagonista è un bambino.
Un bambino diverso, ma non strano.
E le dinamiche descritte non hanno nulla di morboso, non ci sono ambiguità che solo un adulto può capire.
Nonostante ci sia un contrasto con un Potere oscurantista, violento e prepotente, l’oscurità è bandita (per almeno qualche anno ancora).
Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua. Era di carne e d’ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente. Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca.
Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la verità e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse più bugie. Un’altra volta un amico gli confidò un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu più tale.
Il bambino crebbe, diventò un giovanotto, poi un uomo, e ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e indovinare le sue risposte, quando gli facevano una domanda, prima che aprisse bocca. Egli si chiamava Giacomo, ma la gente lo chiamava “Giacomo di cristallo”, e gli voleva bene per la sua lealtà, e vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, salì al governo un feroce dittatore, e cominciò un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo. Chi osava protestare spariva senza lasciar traccia. Chi si ribellava era fucilato. I poveri erano perseguitati, umiliati, offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.
Ma Giacomo non poteva tacere. Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui: egli era trasparente e tutti leggevano dietro la sua fronte pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno. Di nascosto, poi, la gente si ripeteva i pensieri di Giacomo e prendeva speranza.
Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordinò di gettarlo nella più buia prigione.
Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri. Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire.
Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano.
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.” (George Orwell)