Fighter, di Craig Davidson

fighterNon un romanzo perfetto, ma le vette che riesce a raggiungere compensano nettamente le cadute di tono e stile.
La storia di due destini che convergono per realizzare quello che si può definire uno “scambio di vite”.
Da una parte un ragazzo viziato vissuto sotto una campana di vetro per tutta la vita che decide di intraprendere la strada del combattimento nel senso più nichilista possibile, dall’altra un ragazzo povero con un talento per la boxe del tutto deciso a lasciarsi i binari (e la boxe stessa in cui non crede) alle spalle. Accattivante sotto molti punti di vista, inserisce in un contesto più narrativo e meno “filosofico” il discorso di Fight Club di Palahniuk. Estremo sotto più profili, come il già citato romanzo di Palahniuk o American Pshycho di Ellis, si rivela come una di quelle opere “attive” che scrutao dentro il lettore man mano che questo si illude di avere il libro “dalla parte del manico”. Peccato solo ci siano certe scene di sesso un po’ troppo gratuite (a parte una ben inserita e decisamente catartica) tanto da far pensare che siano davvero state messe lì solo per vendere una copia in più allo sporcaccione di turno che ama leggere i romanzi “con una mano sola”. Comunque scorrevolissimo e godibile, denso di significato. Consigliato non solo a chi si interessa di pugilato o arti marziali, ma anche (e forse soprattutto) a chi ama le storie sulla ricerca del sé.
Craig Davidson non è certo Herman Hesse, ma può aiutarci a trovare tematiche affini a quelle dello scrittore indo-germanico nella nostra turbolenta e confusa età contemporanea.

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