Corso di difesa contro le arti oscure

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Quando ci rendiamo conto di aver agito e pensato sulla base di pregiudizi eteroindotti o di non aver agito e pensato per pura e semplice pigrizia, ci sentiamo sempre un po’ coglioni. Ancora peggiore è la sensazione quando è la nostra “considerazione interna” (quel bisogno che abbiamo cioè di tenere un comportamento che sia coerente con l’immagine che noi abbiamo di noi stessi, o con la morale che ci siamo imposti) a renderci schiavi di una dinamica che determina scelte e condotte.
Ognuno ha un curriculum infinito di episodi in cui, a posteriori, può ammettere di aver fatto la cosa più sbagliata e controproducente per motivi non dipendenti dalla propria reale volontà. Cinema e letteratura hanno basato su questo meccanismo il canovaccio di svariate storie, sentimentali e non, per il semplice fatto che si tratta di uno dei più elementari automatismi psicologici in cui incorriamo nella nostra vita. Per esempio quando siamo ostili con la ragazza che credevamo ci stesse guardando storto mentre in realtà ci stava facendo l’occhiolino, o quando non ci riappacifichiamo per orgoglio con un parente e quello poi finisce per morire senza il nostro perdono.
Se si ha avuto la possibilità di bazzicare ambienti musicali, conventicole culturali e realtà politiche più o meno strutturate, si sa benissimo che questo fenomeno vi trova un ben concimato terreno di elezione. La rigidità con cui si rifiutano generi musicali, opinioni politiche o tipi di spettacolo in certi contesti a volte supera il fanatismo religioso e finisce col condizionare la nostra vita a meno di non ricevere qualche shock che ci aiuti a “rompere il tabù”. E di solito quella sensazione di “rottura” è liberatoria e gratificante, capace di instillare in noi quell’euforia che, se cavalcata come l’onda del surfista, può permetterci di “partorire il nuovo”.
Superata l’adolescenza la morsa di quel freno a mano interiore dovrebbe attenuarsi, a patto di non far parte degli aggregati sociali di cui sopra, ma sono svariati i casi in cui il meccanismo si sclerotizza persino nella vita di chi non ha gruppi di riferimento a fare pressione sulla sua volontà e finisce col portare ad aberrazioni comportamentali più o meno ridicole. A tal proposito i social network hanno piantato un nuovo chiodo sulla bara del nostro essere.
Di recente chi scrive ha ricevuto una delle liberatorie docce fredde cui prima si accennava. Ad aprire i rubinetti è stata una conversazione su uno dei tormentoni letterari e cinematografici degli anni duemila: Harry Potter.
Parlarne in termini positivi significa esporsi agli strali di tutta una critica radical chic che imperversa sul web, nei salotti, nei bar. In tutti quei contesti in cui parlare di cosa si è letto visto o sentito si trasforma non in un momento di condivisione ma in una patetica gara a chi ce l’ha più lungo.
Negli ultimi dieci anni ho rifiutato per automatismo sia di leggere i libri con protagonista il giovane mago inglese, sia di assistere alla riduzione cinematografica degli stessi.
Non è stata una decisione presa a livello cosciente. Semplicemente escludevo aprioristicamente la possibilità di fruirne.
E il povero Harry dal canto suo riceveva gli strali della Chiesa che lo vedeva come un araldo del neopaganesimo sulla scia di certi revival celtici tanto in voga fra coloro che radici celtiche non hanno, e le sferzate degli intellettuali di destra e di sinistra che per ragioni diverse lo attaccavano. Né gli uni né gli altri con argomenti degni, ma soloe sulla base di strascichi patetici dei loro rispettivi anni settanta. Non è tradizzziunalo,belavano gli uni, è un prodotto dell’industria ollivùddiana, starnazzavano gli altri. Del resto c’è chi rifiutò di vedere Avatar perché glielo diceva don Mazzi, sicuro che si trattasse di un manifesto del transumanesimo.
Nota a margine: la gente sta male.

Sono passati un po’ di giorni da quando ho ricevuto delle imbeccate sulla saga del povero Harry e nel frattempo ho spulciato qualche sito in cui se ne parlava in termini negativi. Quello che salta all’occhio a un fugace excursus è che, da come si esprimevano le parti in causa, è altamente probabile che nessuno dei detrattori, preti in primis, conoscesse l’oggetto della contesa. Vale a dire che l’ombra di Harry suscitava più interesse del corpo (un corpo di SETTE volumi) che la proiettava. In altre parole erano tutti prigionieri all’interno della caverna di cui al mito di Platone, convinti di stare correndo in sterminate praterie. Si parlava di fenomeno senza tener conto dell’opera.
E ciò è assurdo, perché al di là della gigantesca operazione commerciale editorial-cinematografica, al di là dell’audace operazione di marketing  di far crescere il personaggio e le tematiche dei libri di pari passo con i lettori  (idea neanche tanto nuova, visto che in realtà è accaduto precedentemente coi fumetti di supereroi made in U.S.A.), al di là del polverone sollevato dalle sterili polemiche fatte più o meno in buona fede, c’è una serie di romanzi che dovrebbe essere il primo oggetto di qualunque critica. Ebbene, di questo mi pare nessuno abbia avuto l’intelligenza o l’onestà di parlare (forse proprio perché nessuno, me compreso si è sforzato di affrontarli) a parte i lettori che puntualmente si sono visti crivellare di banalità da radical chic e intellettuali da salotto.
Si è genericamente parlato di magia, di wicca, o di neopaganesimo (insomma, di pericolo satanico da parte di chiesa e tradizzziunalisti), oppure si è osservato il fenomeno da un punto di vista anticapitalista. Tutto questo mi ricorda le polemiche contro le pellicole di Rocky, Rambo, e Conan il Barbaro degli anni ottanta. Film violenti e diseducativi, apologie del fascismo, fumettoni costosissimi, propaganda statunitense.
Ma dei contenuti dell’opera qualcuno si è interessato sì o no?
Qualcuno forse sì, ma di certo non quelli che hanno polemizzato, come se suonasse la sveglia, ogni volta che usciva un nuovo film della serie. Di sicuro don Mazzi non si è letto i sette capitoli dell’opera, poco ma sicuro.
Non interessa, in questa sede, scrivere un articolo su Harry Potter, ma solo porre l’accento su dettagli che non potranno non attirare l’attenzione di chi ha le proverbiali orecchie per intendere
Perché l’opera è un prodotto destinato alle masse. Questo, al di là di ogni pigro snobismo, dei gusti personali, delle considerazioni tecniche che si possono fare su film e libri, rende interessante chiedersi quali siano le tematiche che l’autore (o gli autori) hanno voluto trattare per incanalare le pulsioni dello spirito del tempo.
Ai tempi di Rocky, Rambo, e Conan il Barbaro la critica politicizzata era unanime nello stigmatizzare opere sanguinolente che commettevano il grave errore di inneggiare all’eroismo, alla forza e rappresentare esasperati bagni di sangue (Rambo III fu per molto tempo il film col maggior numero di morti rappresentate su schermo).
Nessuno allora si poneva una domanda forse più interessante, ovvero: perchè un prodotto di massa affronta certe tematiche?
La risposta allora era: l’Occidente ha subito una evirazione così radicale che ormai l’esperienza eroica, il valore purificatorio della violenza, il gusto per l’ardimento e per il pericolo, oltre che i valori elementari di amicizia, lealtà e sacrificio sono rimasti solo degli sbiaditi ricordi, ma noi, uomini d’Occidente, ne abbiamo ancora una sete tale da volerli rivivere almeno nelle opere di fantasia.
Niente di strano, dunque, che in quegli anni i cloni dei film appena citati si sprecassero, così come non è strano che nel decennio precedente fossero gli eroi tragici dei cartoni giapponesi a farla da padroni nella TV italiana. Non è strano nemmeno che He Man, uno dei giocattoli più amati dalla mia generazione nonchè protagonista di una serie animata fosse un guerriero dalla doppia identità che quando combatteva portava al petto una specie di croce templare, cavalcava una tigre (!!!) e aveva nemici dall’aspetto bestiale, mentre nella vita di tutti i giorni era il pavido Adam, come se l’eroismo fosse qualcosa da nascondere.  (Dettagli in merito potete trovarli in questo interessante articolo)
Oggi la gente ride di Chuck Norris e la rete pullula di divertenti barzellette sul suo machismo, e in fondo pure lui ha l’autoironia di prendersi poco sul serio (lo ha dimostrato con la sua apparizione in Expendables 2, e così tutti gli altri protagonisti, da Stallone a Lundgren), ma negli anni ottanta l’ex campione mondiale di Karate era l’idolo di una generazione che non aveva  né guerra né lotta di classe. E i suoi film, trasmessi su tutte le reti televisive, erano seguiti da milioni di giovani che pativano questa siccità di sangue versato.
Si stava stretti, si sentiva che qualcosa non andava, e la risposta al disagio erano questi geyser, ingenui quanto si vuole, in cui tutta la violenza che non potevamo esperire nella vita quotidiana veniva demandata all’eroe proiettato sullo schermo. Una violenza simulata, ma almeno visibile.
Non si trattava nemmeno di una allegoria, ma di uno sfogo per lo spettatore.
Catarsi.
Oggi la realtà è più incasinata, sfaccettata, l’ottimismo e il benessere ce li siamo lasciati alle spalle all’inizio dei novanta insieme coi cadaveri di Moana Pozzi e Freddie Mercury e siamo diventati diffidenti verso praticamente tutte le istituzioni. Se l’eroe degli anni ottanta doveva incarnare l’archetipo del guerriero e a volte addirittura poteva essere un soldato perfettamente inserito nel sistema, l’eroe postmoderno dal sistema cerca di scappare, o di mettercisi contro.
Nel giro di ventiquattro anni (1975-1999) si è passati dai guantoni di Rocky Balboa alle nocche insanguinate di Tyler Durden.
rockyDall’eroe proletario ingenuo, perfettamente inquadrato nel sistema (a parte gli inizi come picchiatore della mala) che sale la scala sociale stando alle regole della boxe ed incarnando lo spirito di un popolo, all’alienato nichilista intelligente e scaltro che il sistema lo combatte trasformando un gruppo di pugili clandestini in una organizzazione rivoluzionaria che comincia con delle provocazioni situazioniste e arriva a far saltare in aria le torri gemelle (o per meglio dire due palazzi che le richiamano nell’estetica)…
…due anni prima di chi lo fece davvero.tyler-durden-pic
E’ in questo clima, che va inquadrata la saga letteraria e cinematografica di Harry Potter.
Ed è interessante osservare come, al di là delle apparenze, si possano riconoscere, in alcuni dettagli della saga del mago inglese, gli echi delle stesse tensioni che Palahniuk e Fincher in Fight Club trattano esplicitamente con vigore e ironia.
Niente di strano: vivono nello stesso mondo in cui viviamo noi e soffrono  la stessa violenza cui siamo sottoposti ogni giorno.
Se lo stonato coro catto-dest-sinistroide avesse smesso di criticare il “mezzo” (l’industria Hollywoodiana nel caso della sinistra, il fantasy, la magia e il presunto paganesimo nel caso di destra e chiesa) e si fosse concentrata sul messaggio, avrebbe forse scoperto qualcosa di sorprendente e per certi versi rincuorante.
E cioè che il mondo descritto in Harry Potter è il teatro di un conflitto che esiste da quando esiste l’uomo, e la battaglia che vi ha luogo è lo scontro fra forze che “incatenano” e spirito prometeico.
Nel mondo di Harry Potter esistono due tipi umani: quelli magici e quelli che non hanno poteri. Poi esistono i mezzosangue, gli esseri cioè nati dall’unione fra maghi e uomini comuni (l’analogia con la distinzione fra homo sapiens e homo sapiens superior presente nella saga degli x-men, immortalata al cinema nello stesso arco temporale,  è qui lampante). In altre parole il mondo si suddivide fra persone che hanno un “dono”, un pregio nel proprio sangue, e chi non ce l’ha.
Non c’è una tripartizione come quella fra illici, psichici e pneumatici come nello gnosticismo, ma l’idea di un “livello di essere” è comunque presente.
Come nella sopra citata saga degli X-men, c’è (non ne conosco i dettagli ma mi è parso di capirlo mentre reperivo informazioni in rete) un conflitto di tipo razzistico fra questi due tipi umani, e una divisione fra buoni e cattivi fondata sull’uso che si fa della magia. Vi si vedono gli echi di una visione “statica” della realtà, di un destino che vincola il singolo e che fa comodo all’elite che su quella staticità ha fondato il proprio potere, e lo sforzo prometeico del singolo che vuole andare contro il proprio destino, sbaragliare i binari, e conquistare la libertà spezzando le catene che lo vincolano alla propria natura. Non c’è niente di più mitologico e tradizionale di questa tematica checché ne dicano quelli che hanno scoperto Evola l’altro ieri e non sanno far altro che citare incoerentemente parole scritte settant’anni fa.
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“Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”.
“Tu devi” gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”.Valori millenari rilucono su queste squame e così parla il più possente dei draghi: “tutti i valori delle cose – risplendono su di me”.
“Tutti i valori sono già stati creati, e io sono – ogni valore creato. In verità non ha da essere più alcun “io voglio!” (Così parlò Zarathustra- Friedrich Wilhelm Nietzsche.)
Sulla terra deridono gli albatri e i liberi arbìtri già dagli albori dei primi canti dei primi miti
,canta Marracash nella canzone “l’albatro” (link), e come non essere d’accordo, visto che, per dirla con Herman Hesse, quello che ci hanno insegnato a scuola è che gli uomini che hanno costruito il nostro mondo sono persone che hanno avuto il coraggio di  guardare oltre, mentre poi gli stessi insegnanti che hanno elogiato questi grandi uomini hanno proibito a noi di fare altrettanto?
Ma ovviamente Harry Potter è un prodotto dell’industria Hollywoodiana e non se ne può parlare bene né vi si possono scorgere tematiche antiche come l’uomo (non dimentichiamoci che nemmeno un anno fa in certi ambienti si è avuto il coraggio di parlar male del film “la grande bellezza” solo perché è stato premiato presso Hollywood.).
Procediamo con Harry Potter.
Fin qui non c’è stato nulla di nuovo: di storie che parlano del conflitto fra natura, dei o istituzioni e libero arbitrio in chiave più o meno simbolica è piena la storia di ciò che un tempo chiamavamo spettacolo e oggi chiamiamo intrattenimento.
Ma prima si è parlato delle analogie con Fight Club ed è il caso di approfondire la questione.
Abbiamo detto che nel mondo di Harry Potter l’umanità è divisa fra maghi e non maghi.
Ora, la magia si può definire, al di là dei fantasiosi abracadabra, l’arte di ottenere effetti fisici attraverso dinamiche psichiche. In altre parole il mago dei giorni nostri è lo psicologo moderno.
E questi “maghi moderni” sono divisi in due categorie: i terapeuti e quelli che hanno scelto di mettere le proprie conoscenze al servizio delle aziende con la pubblicità e le strategie di comunicazione.
Insomma gli psicologi si dividono fra quelli che ti vogliono far guarire e quelli che ti vogliono fare ammalare.
Oltre a ciò c’è tutta una serie di stregoni fai da te che con manuali di programmazione neurolinguistica e tecniche di marketing imperversano nella nostra vita riuscendo in modo più o meno incisivo ad avere su di essa un controllo.
Svariati sono gli idioti che credono di poter sedurre una donna con la PNL, o che si uniformano ai suoi precetti sul posto di lavoro.pnl
I media parlano di crisi economica(fornendo ai datori di lavoro un guinzaglio più solido e corto). Le pubblicità commerciali ci indicano cosa comprare. I video di MTV ridefiniscono gli stili di vita dei giovani. I guru del neospiritualismo (newage e nextage) instillano nel nostro essere una nuova, più subdola, morale. I sexy shop definiscono uno standard estetico. I cretini che si lanciano nei colloqui di lavoro sperando di diventare i nuovi Bill Gates si imbottiscono di nozioni prese da manuali di psicologia da bancarella e siti internet per seduttori. I capi leggono manuali di PNL per mettercelo in culo e così fanno i loro schiavi che cercano di venderci questo o quel prodotto.
Il mondo in cui viviamo è un caos popolato di maghi neri all’ammatriciana che cercano da ogni parte di ottenere il proprio tornaconto. La leva su cui agiscono è la nostra dimensione naturale, che ci porta ad avere reazioni quantificabili e prevedibili.
Ed è contro questo mondo che Tyler Durden, protagonista di fight club, combatte. Lo fa agendo su due vie che sono l’una presupposto dell’altra: 1) la disciplina che nasce non solo dalla familiarizzazione col dolore (e quindi emancipazione dalla paura), 2) risveglia altri individui che come lui hanno capito che qualcosa non va. Una volta emancipato se stesso e i suoi compagni dai vincoli della natura e della corporeità, comincia con il terrorismo estetico attaccando i simboli del capitalismo. Lo fa prima con gesti semplicemente simbolici capaci di scuotere, usando lo stesso linguaggio del capitalismo(quindi magia contro magia o, uscendo dai territori fantastici, situazionismo ), poi con il terrorismo vero e proprio (nel romanzo si fanno anche morti, nel film solo uno e per incidente).
Ora, chiunque non abbia vissuto in uno scantinato negli ultimi cinquant’anni dovrebbe sapere che la lotta richiede una disciplina. Questa è la ragione per cui gli orientali associano la meditazione e la filosofia quando non la religione alle arti marziali, e i cavalieri medievali europei erano tutti cristiani. Questo perché, per utilizzare il proprio corpo in un modo controintuitivo e controistintivo, è necessario trasformarlo in uno strumento che lo spirito comanda al di là di semplici istinti e convenienza. Le vie sono tante. In Fight Club sono il masochismo nichilista, la deturpazione della carne, immagine materiale della mortificazione dell’io, versione postmoderna dei digiuni degli asceti o di tutte le forme di mortificazione di monaci, santi e martiri (io sono illuminato, dice il protagonista del film quando inizia a differenziarsi dalla massa che gli passa accanto ogni giorno).
Lo scopo finale di quelle “calate negli inferi della carne” è familiarizzare coi dolori della carne per emanciparsi dalla carne stessa, ossia spezzare il legame con le regole imposte dalla natura.
Dalla nostra natura.

Diventare il bambino e lasciarci alle spalle il burattino, tanto per rifarci alla favola di Collodi.
Il meccanismo da cui dobbiamo emanciparci e che ci ancora alla carne, all’animale, è sempre lo stesso: la paura. Ogni nostro comportamento istintivo tende alla sopravvivenza. Noi rispondiamo sempre alla paura di morire.
La maggioranza delle dinamiche umane risponde a questo meccanismo, ed è deterministica. Ci illudiamo di essere padroni della nostra vita, ma di fatto, senza voler tirar fuori astrologia o una interpretazione qualitativa della realtà come quella che fa (giustamente) Jung nell’introduzione alla sua traduzione dell’ I Ching, possiamo affermare senza risultare degli oscurantisti che nel mondo tutto accade e non siamo quasi mai padroni di quello che succede nella nostra vita. Sono estremamente rari gli scoppi di volontà nella nostra vita. E ancora più rari i casi in cui questi scoppi portino a una modifica del nostro mondo.
Georges Ivanovič Gurjieff, uno dei “maestri” più citati (anzi, forse il solo maestro citato) da Franco Battiato affermò “a suprema illusione dell’uomo è la sua convinzione di poter fare. Tutti pensano di poter fare, vogliono fare, e la loro prima domanda riguarda sempre ciò che dovranno fare ma a dire il vero, nessuno fa qualcosa e nessuno può fare qualcosa. Questa è la prima cosa che bisogna capire. Tutto accade”
E ancora:
E’ riduttivo parlare di magia nera, bianca, rossa, etc… Non vi è, infatti, né magia rossa, né verde né gialla. Vi è “fare”. Solo “il fare” è magico “.
E qui torniamo alla magia.
Il mondo in cui ci dibattiamo in questa epoca devastata e vile è un mondo invaso da una forma di magia nera chiamata scienza della comunicazione (cioè la scienza di premere i tasti giusti al fine di mettertelo in culo col sorriso mentre ringrazi il tuo inculatore).GOYA-P1 Di fatto là fuori c’è un esercito di maghi neri, servi di diverse autorità le quali a loro volta rispondono tutte a un unico “padrone” impersonale, che cercano di fare leva sulle tue paure per ottenerne un vantaggio economico. E per farlo sono pronti a tutto. Sono pronti a forme di violenza inimmaginabili anche solo pochi anni fa. Persuasione psicologica, ipnosi fai da te, mobbing, spregiudicate tecniche di marketing ai limiti con le molestie. Telegiornali che insistono sulla crisi, su quanto là fuori sia pericoloso, e ti danno interpretazioni molto originali (per essere gentili) sulle dinamiche geopolitiche in corso.

Finché non ne prendi coscienza, finché non prendi coscienza di quanto il tuo mondo sia fottuto, resterai un semplice zombi alla mercé del volere loro e del loro padrone. Ed è l’emancipazione dalla paura, dagli istinti primari che può fare di te un uomo libero. Un uomo capace di agire.
Un mago.
Un mago, già. Perché eravamo partiti da Harry Potter.
Torniamo al saputello maghetto inglese.
I romanzi che lo vedono protagonista sono sette,  uno per ogni anno di corso della scuola di magia che lui frequenta. Scuola. Un esclusivo collegio per maghi. Anche qui si parla di disciplina per amministrare un dono. Qui il dono ce l’hai alla nascita e lo perfezioni con la disciplina, in Fight Club, più realisticamente, lo consegui con la disciplina. La cosa che maggiormente mi ha colpito sentendo parlare di Harry Potter e che ha ispirato buona parte del presente articolo è una materia che gli studenti della scuola devono affrontare: difesa contro le arti oscure.
Non serve ripetere quanto già asserito riguardo alla psicologia e all’uso che nel nostro mondo se ne fa per capire come mai questa idea di arti oscure mi abbia tanto colpito, ma è interessante osservare in cosa consista la prova del terzo anno di scuola (che coincide con l’età del giro di boa adolescenziale). Gli studenti devono affrontare il molliccio, un essere che si nasconde dentro gli armadi, che non ha una forma definita poiché assume la forma di ciò che la persona che lo incontra teme di più. In altre parole incarna le fobie della sua vittima.
Curioso che negli stessi anni Cristpopher Nolan, riportando su Grande schermo il personaggio di Batman in una delle più riuscite riduzioni cinematografiche del personaggio, non gli fece affrontare un avverasrio classico come Joker, il Pinguino o Duefacce, ma una figura meno nota ai non addetti ai lavori: lo Spaventapasseri,

Lo Spaventapasseri

un criminale esperto psichiatra la cui strategia di combattimento è analoga a quella del molliccio:attraverso la somministrazione di un gas nervino era in grado di evocare le paure delle sue vittime e ritorcerle contro di loro. Tutta la pellicola (stiamo parlando di Batman Begins) è a ben vedere incentrata sul tema dell’affrontare le proprie paure per diventare un essere completo (lo stesso Batman deve affrontare ciò che dai tempi del suo trauma infantile teme di più).
Sull’iniziazione.

Siamo nel mondo post-11 settembre e in piena generalizzazione dell’uso di internet come medium, che avrebbe portato l’informazione – e la disinformazione – in una nuova caotica e frammentata dimensione, condizionando forse irreversibilmente la nostra percezione della realtà e il nostro rapporto coi mezzi di comunicazione di massa. Siamo negli anni della diffusione pop (in realtà già cominciata con gli anni settanta) della psicologia, della diffusione dei manuali di PNL al di fuori dei contesti terapeutici (manuali per sedurre le donne o vendere il folletto), della globalizzazione, del “terrorismo”, dello sdoganamanto del porno, della next age, degli spiritualismi postmoderni che mescolano tradizione e psicologia in modo confuso e remunerativo. Sono anni in cui il territorio di lotta, dal piano fisico, si è spostato nella dimensione dello spettacolo, dell’immaginario. Non conta più la realtà, ma la percezione di essa. Non stupisce quindi che il mondo dello spettacolo trasfiguri la cosa entro prospettive avvincenti più o meno mitologiche. Non stupisce, tornando ad Harry Potter, che l’eroe di una serie di romanzi rivolti a degli individui in formazione si ritrovi ad affrontare una prova d’esame sulla paura, sul proiettato.

Inutile dire che l’esame consista nell’affrontare il molliccio. Quindi nell’affrontare le proprie paure. L’esatto contrario di quello che nel linguaggio psicologico viene chiamato rimozione. L’esatto contrario di quello che la nostra società ci suggerisce di fare a suon di psicofarmaci e distrazioni varie. Benché in questa sede si ignori quale sia lo sviluppo narrativo di questo segmento di storia e come gli studenti affrontino personalmente l’esame, non è difficile immaginare che buona parte della narrazione sia dedicata a quel conosci te stesso che dal tempio dell’Oracolo di Delfi è giunto fino alla cucina dell’Oracolo di Matrix (non affrontiamo in questa sede la saga dei fratelli Watchoski perché c’è chi l’ha fatto prima e meglio di noi).
Superfluo sottolineare quanto ciò ricordi le iniziazioni virili delle società tradizionali (per esempio la cosiddetta “esperienza del bosco”, o i viaggi sciamanici a suon di Peyote in cui si incontrano i propri demoni, i propri animali totemici e tutte quelle cose molto affascinanti di cui nessuno sa molto ma molti , compreso lo scrivente, parlano), o anche quelle moderne (sia quelle socialmente accettate, sia quelle deprecate ma non meno efficaci). Ancora più interessante è osservare che ciò che il molliccio teme è la risata. Per questo l’arma più efficace contro questo essere consiste nel trasformarlo in qualcosa di buffo.
Non ti fischiano le orecchie? Quello in cui viviamo, prima che politico, prima che economico, è un impero psichico. televisione4Un impero della mente sulle menti. Un mondo in cui il proiettato è più importante del reale. Un mondo che si può a buon titolo definire terroristico giacché fa leva sulle nostre paure. Smettere di avere paura e, se possibile, ridicolizzare chi vuole spaventarci significa neutralizzare il terrorismo ufficiale che ci incatena.
Non è banale il concetto, e può essere una grande regola di vita.
Un’altra possibilità è quella di presentarsi in gruppo, non da soli, in modo che l’essere non sappia quale forma assumere avendo l’attenzione divisa fra più “paure individuali”. Se la prima strategia non necessita di particolari commenti (mio padre mi diceva che se avevo paura di un professore a scuola dovevo immaginarmelo a braghe calate nel cesso, dopo un attacco di diarrea mentre si dibatte alla ricerca di un rotolo di carta igienica che non trova), il secondo offre parecchi spunti di riflessione. Facilee che il lettore medio di Harry Potter liquidi il concetto con la banale considerazione che l’unione fa la forza, oppure con la riflessione che più bersagli confondono.
Certo.
Ma questo concetto, l’idea cioè che due bersagli confondano chi li deve colpire merita qualche digressione giacché non è l’idea originale di un autore di romanzi fantasy per ragazzi più o meno cresciuti, quanto un principio antico come l’uomo sia nella strategia politica, sia nella fisica del combattimento individuale, e possiamo riassumerla nell’espressione latina del divide et impera.
Chiunque abbia praticato un’arte marziale conosce due principi fondamentali: nel corpo a corpo, per avere l’avversario in pugno, è necessario metterlo in squilibrio. Mettere in squilibrio un soggetto significa sottoporlo a dei vettori di forza fra loro contraddittori in modo da farlo uscire dall’asse dell’equilibrio. E un avversario messo in squilibrio lo hai in pugno. Puoi portartelo in giro come un oggetto inanimato.
Nelle dinamiche percussive (pugni e calci) una delle strategie base è sempre quella di non colpire troppe volte lo stesso bersaglio quanto piuttosto di “colpire vario”. Non serve molto: è sufficiente tirare una sequenza di colpi superiore a due, e il cervello del soggetto in difesa si ritroverà “sovraccarico” di informazioni (ovviamente qui si parla di soggetti non allenati specificamente alla cosa. E’ evidente che in contesti agonistici o militari la capacità di tollerare la situazione di stress aumenta).
Il Molliccio, avendo un solo attacco possibile (che in fondo è difesa e attacco insieme), viene messo in sovraccarico informativo avendo l’attenzione divisa e frammentata fra più bersagli. Ma avere più bersagli e un solo colpo a disposizione è come non averne nessuno. E’ come essere messo in squilibrio, o ricevere un diretto e un gancio al volto seguiti da un montante al fegato o un low kick.
Dal combattimento individuale al campo di battaglia la strategia resta invariata, tanto che il generale Sunzi, nell’antico testo cinese sull’arte della guerra dà suggerimenti analoghi. La cosa è intuitiva, dal momento che ci si trova ancora sul piano fisico.
Una piccola astrazione con ribaltamento di prospettive può farci notare come a questo sovraccarico informativo siamo sottoposti tutti ogni giorno, ed è sulla base di questo squilibrio che si fonda il controllo sociale cui siamo sottoposti in questo mondo che abbiamo definito poco sopra impero psichico. Mentre stai leggendo queste righe sicuramente sai che devi recarti alle poste per effettuare un pagamento, devi cambiare computer, il tuo antivirus è obsoleto, il tuo cellulare non ha credito, devi fare la ricarica, hai sentito alla radio di una nuova droga che può insidiare l’adolescenza di tuo figlio, non sai se ti rinnovano il contratto di lavoro, c’è quell’offerta speciale imperdibile all’Ikea, non riesci a fermare quei cazzo di operatori di call center capaci di romperti le uova nel paniere nei momenti meno opportuni, la crisi sembra non voler smettere di farsi sentire. Sono forze provenienti da ambiti diversi, a volte contraddittorie e antitetiche, ma tutte concretamente lesive del nostro equilibrio. Ci ritroviamo sbatacchiati qua e là come quel delinquente che, preso per un mignolo e messo in leva  da un poliziotto, può essere introdotto nella volante senza troppi sforzi da parte dell’agente. E’ con questo soft power che ci hanno fregati tutti e messi in ginocchio senza che ce ne accorgessimo. Ci siamo tutti dentro: terrorizzati dai telegiornali, dall’estratto conto, dal futuro nostro e dei nostri cari. Con simili presupposti chi avrà mai il coraggio di scordarsi le rotaie verso casa, per dirla con Fabrizio de Andrè?
Chi mai avrà il coraggio di fare la rivoluzione?
Fare la rivoluzione non significa necessariamente scendere i piazza armati e affrontare l’ordine costituito. E’ un errore dal punto di vista strategico. Non ne sussistono i presupposti.
Fare la rivoluzione, oggi, significa principalmente conoscere le tecniche del tiranno e rendersi impermeabili ad esse, diventare maghi nel mondo del determinismo scientista e risvegliare il maggior numero di individui. Nel capolavoro di Ray Bradbury, Farenheit 451, una distopia simile (per chi scrive superiore) a 1984 di Orwell e al Mondo Nuovo di Aldous Huxley, i rivoluzionari imparavano a memoria i libri (si parla di un mondo in cui la scrittura è vietata) e se li trasmettevano uno con l’altro oralmente senza lasciare nulla di scritto.
La rivoluzione è interiore, e trasmetterla, oggi, significa promuovere altre rivoluzioni interiori in altri soggetti.
Volontaria o meno che sia l’intenzione dell’autrice di Harry Potter, quello che lei insegna agli adolescenti che la leggno, perlomeno in questo segmento narrativo è di usare le armi del nemico dopo averle conosciute e conosciuto se stessi.
sembra di leggere Krishanmurti.
Ma attenzione: c’è chi in questo mondo non solo la rivoluzione non la vuole fare, ma addirittura si erige a difensore dello status quo, del sistema.
Parole come quelle poco sopra riportate potrebbero essere tacciate di comunismonazismoignoranza, o qualsiasi altra parola la moderna inquisizione (che non ha più un tribunale ufficiale perché è inserita come un trojan virus nelle coscienze nostre e dei nostri vicini) usa per fermare ogni idea dissenziente.
Si tratta di individui che per varie ragioni hanno ritenuto in buona o mala fede (ma i buoni non sono meno dannati dei cattivi in questa prospettiva) che fosse più opportuno accettare questo mondo e difenderlo. Nella parabola di Matrix sono gli agenti.
Nel mondo di Harry Potter c’è un tipo di essere che ricorda, per motivazione e modo di agire proprio queste persone,sebbene le trasfiguri in un’ottica favolistica e vagamente orrorifica.
Questi sono i dissennatori.
La pagina della Harry Potterpedia così li descrive:
Il Dissennatore è un essere umano a cui è stata tolta l’anima. Il corpo può sopravvivere anche senza anima, ma regredisce e avvizzisce fino a diventare quasi un cadavere decomposto. Gli unici organi che restano funzionanti sono il cuore e il cervello. Il Dissennatore non ha coscienza nè sentimenti, ma è comunque in grado di ragionare e dialogare, cosa che molti di loro sfruttano per formare alleanze coi maghi. “

I comportamenti del dissennatore sono così descritti: “Un Dissennatore si muove scivolando sul terreno in cerca di prede. Trae il suo sostentamento dalle emozioni degli esseri umani, di cui si ciba con una sorta di respiro. […] esso individua le prede captandone le emozioni. La presenza di un Dissennatore rende gli umani inebetiti: udito e vista non funzionano più al meglio. Il respiro del Dissennatore succhia le emozioni positive agli esseri umani, lasciando solo i peggiori ricordi. Subire il respiro del Dissennatore può causare nausea e capogiri fino anche allo svenimento. Rimanere a contatto coi Dissennatori per periodi troppo lunghi di tempo può anche far impazzire…”
E’ interessante notare come si ponga l’accento sulla sottrazione dell’anima, sulla descrizione della creatura come di uno zombi, sia nel senso cinematografico di morto vivente, sia in quello haitiano di essere senza anima che può stringere alleanze con stregoni. Si parla di alleanze con maghi, di captazione di emozioni positive che vengono drenate via dalla vittima. Si dice che non hanno né coscienza né sentimenti, ma possono ragionare e dialogare. Privati dell’anima, questi esseri vivono solo nel cuore e nel cervello, cioè nelle emozioni più basse (anche se qui si parla di assoluta mancanza di sentimenti, non si dimentichi che l’emozione è una reazione più bassa ed immediata) e nella mera razionalità. Sono esseri animalizzati.
In altre parole quello che viene descritto è l’uomo che sotto moltissimi aspetti lo scientismo ottuso, nella sua negazione di ogni principio trascendente, vorrebbe descrivere come uomo. Un uomo senza anima, senza scintilla.
Ora, senza troppa ironia vengono in mente due esempi lampanti: da una l’agente di commercio, il capo area, il politico, che vedono in ogni relazione umana un significato logico-utilitaristico e cercano di pilotarla con tecniche di comunicazione, dall’altra la figura dell’anonimo vampiro psichico: quelle persone il cui solo scopo è portarti “giù con loro”, nella loro piattezza, nel loro mondo fatto di invidie e rancori.
Se il primo caso, tutt’altro che ironico, è autoevidente, per il secondo si invita il lettore a pensare alla certamente nutrita schiera di conoscenti che, nel corso della sua vita, hanno cercato di smontare, ogni slancio emotivo, ogni novità, ogni entusiasmo manifestato, ridimensionando progetti, speranze e desideri.

-Vorrei salire su un ring.
-Ma dai, son cose che si iniziano da giovani quelle!

-Quella ragazza mi piace
-Figurati se dà retta a uno come te

-Voglio cambiare lavoro
-Ma no che c’è la crisi, dove cazzo vai?

Non ti stai comportando in modo un po’ strano? Ti vedo diverso.

Per quanto la parla “vampiro psichico” possa apparire fantasiosa e naif, è cosa nota che le persone negative, perché affette da una qualche patologia psichica più o meno grave, hanno il potere, quantunque involontario, di contagiare i soggetti che stanno loro intorno, soprattutto quelli più recettivi.
Una volta un amico mi chiese, riferendosi a un mio collega di lavoro che di questa negatività era produttore più operoso di un’ape,  mi chiese sei sicuro che sia ancora un essere umano? Dopo una prima reazione divertita alla domanda, mi resi conto, nei giorni successivi, della portata di un simile concetto e mi ritrovai a concludere che effettivamente ci sono dei soggetti i quali, per ragioni varie, volontariamente o meno, hanno perso l’anima, e quello che di loro resta è un involucro che agisce come un automa. E che riesce ad essere spaventosamente contagioso. Come i dissennatori. O gli zombi.
Se è  vero che in buona parte delle dinamiche vampiresche ha un ruolo importante la semplice meschinità umana, è necessario sottolineare quanto molte persone si siano viste privare dell’anima dal terrorismo mediatico, dall’uso scriteriato della psicologia fuori da contesti terapeutici e in particolar modo dall’uso di essa negli ambienti lavorativi.
E’ ancora vivo nella memoria degli italiani, credo, l’episodio di un paio di anni fa riguardante quel padre che, nell’andare al lavoro, lasciò il figlio di pochi mesi in auto condannandolo a morte.
Se l’era letteralmente dimenticato. 
Obbedendo al meccanismo della discriminazione del diverso finiamo per puntare l’indice contro quel pover’uomo e dire che era una merda. Il meccanismo della riprovazione sociale, a ben vedere, a volte aiuta il “sistema” ad autotutelarsi attraverso la nostra veemenza e a non essere messo in discussione.
Il punto è che oggetto del nostro disprezzo non dovrebbe essere quell’uomo il cui comportamento è evidentemente qualificabile come segno di totale squilibrio e prostrazione.
Il punto è che quello era un pover’uomo che dal lavoro era stato schiacciato al punto da ridursi a prende una così inverosimile e tragica svista.
L’eggregoro dell’ambiente di lavoro lo aveva spento. Lo aveva fatto impazzire al punto da dimenticare un figlio in auto per tutto l’arco dell’orario di lavoro.
Ipnosi.
Un caso limite, certo. Ma è stata una delle vittime di quell’impero della mente sulle menti di cui si parlava sopra non meno del neonato.
Uno zombi.
E se lui è uno zombi, sicuramente vi saranno delle cause anche individuali e naturali (debolezza, inferiorità psichica, suggestionabilità e chi più ne ha), ma è innegabile che un ruolo in cose simili ce l’ha il clima psichico del mondo postmoderno.
Ovviamente notizie simili non hanno mai largo seguito  nè suscitano riflessioni al di là dello scandalo.
Muore un giovane di overdose e tutti a parlare della piaga della droga.
Succede una cosa simile e tutti a parlare di Carla Bruni e Sarkozy.
Ci controllano con la paura e con essa ci sottraggono non solo la volontà ma anche l’anima.
Che sia la bruciatura chimica di Fight Club o che sia il monito lanciato da Angelo Branduardi col suo consueto garbo nel video che di seguito riportiamo, il messaggio è sempre lo stesso: cè solo un modo per neutralizzare questo clima di terrorismo generalizzato ed è non avere paura.

Eravamo partiti da Harry Potter e siamo arrivati a parlare di PNL, mobbing, comunicazione e tragici episodi di cronaca.
Non ha molto senso continuare oltre ma ci preme sottolineare come il mito sia sempre ed eternamente presente. Gli eroi e gli dei c’erano e ci saranno sempre. Anche nei contesti più sfacciatamente commerciali come il cinema Hollywoodiano o la letteratura di genere.
Qualcuno sicuramente sarà così poco accorto da storcere il naso perché si è in questa sede cercato di elevare Harry Potter e il suo messaggio, ma questo qualcuno ignora che gli archetipi si impossessano degli esseri umani indipendentemente dal contesto di riferimento. Qualcuno potrà dire che la lobby che ha finanziato fenomeno Harry Potter è in realtà costituita da un gruppo di massoni  a loro volta finanziati dai Rockfeller o chissà chi, oppure che l’autrice di Harry Potter è una pedofila satanista ed è da questo che trae linfa la sua passione per il mondo dei bambini e degli adolescenti e soprattutto della magia. O magari che dietro a tutto questo ci sono i rettiliani.
Ma di tutto ciò non ci interessa giacché, quand’anche venisse fuori che Harry Potter è stato realizzato con le peggiori intenzioni, l’uso che noi ne abbiamo in questa sede seguiva le nostre intenzioni. In ciò facciamo nostra la pratica del dètournement dei situazionisti la quale prevede che si possa prendere e decontestualizzare l’idea di un autore al punto da rovesciarne il senso e dare ad essa una nuova vita.
E’ in questa ottica che si devono accogliere anche le pellicole con protagonisti gli eroi dei fumetti che da ormai più di un decennio imperversano nelle sale cinematografiche di mezzo occidente: indipendentemente dal fatto che si tratti di strumenti di propaganda statunitense con tutto ciò che la cosa comporta, di fatto promuovono in ogni caso l’archetipo dell’eroe, tanto che non è difficile prevedere come, da icone capitaliste, i simboli di Batman, del Punitore, di Superman, dell’Uomo Ragno, possano trasformarsi nel proprio opposto quando messe nelle mani di persone che non hanno dimenticato chi siano i veri cattivi. Del resto la reinterpretazione di Batman operata da Miller nel Ritorno del Cavaliere Oscuro e ancor di più in Il Cavaliere oscuro Colpisce Ancora è proprio su un presupposto simile che si basa: da icona pop a mitologia in una grande riflessione sul Potere e sull’uso che se ne fa.

Quello che si è detto sulla psicologia può trasferirsi pari pari, con i dovuti aggiustamenti, sull’argomento tecnologia (anche quella a ben vedere è una forma di magia), ma ciò esula dagli intenti di questo articolo.
Prima di lasciarci rimando a una sorta di decalogo erroneamente attribuito al filosofo e psicologo comportamentista Naom Chomsky, che lui ha disconosciuto non essendo stato tratto da un suo scritto, ma di cui comunque riconosce la genuina omologia con i suoi scritti. Riguarda le tecniche di manipolazione cui si rifanno i mezzi di comunicazione di massa.
Può benissimo fungere da primo vademecum di difesa contro le arti oscure, e chiunque riesca a far proprio questo o simili documenti potrà schermarsi da questi incantesimi come Harry Potter.
O rendersi invulnerabile come Clark Kent.
O superare i limiti dell’umano  diventando totalmente padrone della situazione al punto di piegare la realtà circostante come fanno in modi diversi Bruce Wayne, Neo, o Tyler Durden.

Le dieci regole della manipolazione

 

3 commenti


  1. preludio

    Letto d’ un fiato. Merito del contenuto e della prosa fluida che rende ben comprensibili i profondi concetti di cui è denso l’articolo.

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